Ricambio d’aria e passaggio di vapore: facciamo chiarezza

Sfatiamo un mito.
I muri devono respirare per non “fare la muffa” e compagnia cantante?
Risposta breve: NO.

Risposta lunga: non confondiamo la “respirazione”, intesa come ricambio di aria, con la traspirazione, intesa come passaggio di vapore.
ricambio
Per quanto riguarda il ricambio d’aria sanitario, questo dovrebbe avvenire in maniera controllata attraverso, per l’appunto, la ventilazione meccanica controllata abbinata ad un recupero del calore. A chi teme di dover vivere in reclusione ripeto sempre che niente ci impedisce di aprire le finestre quando vogliamo, specie nelle mezze stagioni, ma con la consapevolezza che se lo facciamo a gennaio oltre a gelarci il naso stiamo letteralmente buttando i soldi…dalla finestra!

Condensa interstiziale
Per quanto riguarda invece il passaggio di vapore, iniziamo con il dire che la traspirabilità è un po’ sopravvalutata. Solamente il 3-4% del vapore passa attraverso l’involucro, il resto evacua attraverso i ricambi d’aria (controllati o meno). Quello che conta è che la stratigrafia sia aperta alla diffusione verso l’esterno, come se fosse un’autostrada con una serie di caselli in successione (i passaggi tra un materiale e l’altro) ai quali le particelle di vapore sono costrette a rallentare: il secondo casello dovrà smaltire la coda più velocemente del primo e così via, non il contrario, altrimenti si creeranno pericolosi incolonnamenti (ovvero rischi di condense interstiziali). Se per ipotesi chiudessi subito la frontiera non avrei bisogno di caselli aperti in seguito, a meno che qualche particella non trovi comunque il modo di aggirare l’ostacolo e passare. Ecco perché la cosiddetta barriera al vapore posta internamente si usa solo in alcuni casi e quasi mai nelle nuove costruzioni, nelle quali si preferisce generalmente controllare la fuoriuscita del vapore senza impedirla.

muffa e ponte termico
Tornando alla domanda iniziale: cosa devo fare per non avere più problemi di muffe? Assicuriamoci PRIMA di eliminare i ponti termici costruttivi (con un buon cappotto senza interruzioni, ad esempio) e di garantire in questo modo alte temperature superficiali lungo i bordi delle stanze e dei serramenti. Fatto questo, POI viene l’arieggiamento dei locali. Famosi i casi in cui, in edifici datati, dopo aver sostituito i serramenti ricercando un miglioramento del comfort domestico cominciavamo a formarsi muffe negli angoli della stanza; paradossalmente l’unica cosa che salvava i proprietari dalla muffa era il ricambio d’aria garantito dalle infiltrazioni di aria dalle vecchie finestre!

Il comfort, come anche il risparmio energetico, è dato per tre quarti dall’involucro e solo per un quarto dagli impianti. Ricordiamocene quando l’idraulico ci suggerirà di cambiare la caldaia o installare dei costosissimi pannelli solari termici o fotovoltaici.

Daniele Pozzan

L’importanza del risparmio energetico

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Tutti i miei amici sanno che odio gli sprechi. Che si tratti delle fontane pubbliche o della pizza avanzata non fa differenza. Quindi ho buttato giù due righe su una cosa più seria che sentiamo da mo’: una delle urgenze più impellenti che l’Unione Europea si trova ad affrontare è quella di abbattere i consumi e le emissioni di gas serra (principalmente anidride carbonica) nel più breve tempo possibile. Proprio l’Unione Europea è una delle principali sostenitrici del Protocollo di Kyoto, quello del 1997 ve lo ricordate? Dovremmo essere a 192 Paesi aderenti di cui 83 firmatari (ho tenuto il conto con le mani). A Kyoto si decise, tra molte altre prescrizioni e alcune eccezioni, che entro il 2012 si dovessero ridurre le emissioni di gas serra rispetto al 2012; poi come spesso accade si è spostata l’asticella un po’ più in là, ovvero al 2020.

Ma il Protocollo non costituisce di per sé un vero e proprio obbligo, e pure le sanzioni sono all’acqua di rose. Cosa ha pensato quindi la UE? Con la direttiva 2003/87/CE è stato introdotto un meccanismo sanzionatorio molto più convincente che, oltre a multare di 100€ per ogni tonnellata di CO2 prodotta in eccesso, istituisce un mercato di permessi di emissione. Questi sono dei veri e propri “permessi di inquinare” assegnati in varie quote ai singoli operatori dei settori produttivi più energivori. Ogni operatore sarà quindi incentivato a non oltrepassare le proprie quote onde evitare di pagare la sanzione, ma al contempo potrà cercare di ridurre ulteriormente le emissioni in maniera tale da poter entrare nel mercato delle emissioni (ET) con un bilancio attivo e poter vendere le proprie quote avanzate con gli operatori meno virtuosi. Tutto ciò avrebbe dovuto innescare una corsa all’efficienza, specialmente nel caso in cui le quote avessero raggiunto un buon valore di mercato; sembra tuttavia che, a causa della forte crisi che ha colpito l’economia, il valore delle quote sia crollato ben al di sotto di quanto previsto, rendendo di fatto poco incentivante tale meccanismo. Notizia recente: nulla di fatto. Forse era troppo complicato da capire. O da spiegare.

Per comprendere quanto la componente edilizia sia importante nel computo delle emissioni è opportuno fornire alcuni dati: in Europa il 40% del consumo di energia e il 36% delle emissioni di CO2 è originato dall’edilizia residenziale e commerciale. Una quota circa pari al 70% di questo consumo serve a soddisfare la domanda di riscaldamento nelle sue varie forme (metano, gpl, legno, pellet ecc.) e un altro 10% circa è utilizzato per scaldare l’acqua sanitaria; il 20% che rimane è imputabile per due terzi agli elettrodomestici e per un terzo alla cucina (non so se vi convenga di più il forno a microonde o il fornello, ma nel dubbio scegliete sempre il fornello!). Insomma, ok gli incentivi per gli elettrodomestici nuovi in classe A++++ super (come i feedback su ebay), ma non basta: serve un controllo sulle emissioni prodotte dagli edifici.
Entro il 2020 (2018 per gli edifici pubblici), dice la direttiva 2010/31/UE, tutto il nuovo costruito dovrà avere i requisiti previsti per gli edifici “a energia quasi zero” (Nearly Zero Energy). Adesso ok, soffocate le risate…ma voi…ce la vedete l’Italia in regola nel 2020? Pffff!!! Ad ogni modo, meglio prendersi per tempo, magari a 70 anni mi ritroverò a fare qualche progettino di casa passiva, quindi via con l’apprendistato.

Daniele Pozzan