Batteria domestica Tesla PowerWall, la novità del momento

AGGIORNAMENTI 05/10/2016:

Tesla Powerwall è arrivata, e in giro si trova qualche esempio di installazione. I distributori sono pochi e molto selezionati da Tesla con rigidi criteri, mentre gli installatori certificati sono già diffusi in maniera abbastanza capillare. Tesla sembra avere una politica di marketing protezionistica, e ciò conferma la similitudine con Apple che molti le attribuiscono. Anche il fattore “emozionale” è parte di tutto questo.

Rendiamo subito noto il costo di Tesla Powerwall sul nostro mercato: se è vero che importare la batteria dagli USA costa ai distributori i famosi 3000$ pubblicizzati, aggiungendo trasporto, modulo aggiuntivo per l’inverter, centralina, sensori, accessori vari, installazione autorizzata con monitoraggio, ad oggi ha un costo per il privato di circa 7000-7500 € + IVA. Tuttavia, se il modulo è incentivato con le detrazioni al 50% come è confermato allo stato attuale della normativa, il payback period è abbastanza breve.

A livello tecnico, va specificato che la capacità attualmente disponibile è di 6,4 kWh (leggermente inferiore agli annunci iniziali) con scarica al 100%, e la potenza erogabile è di 3,3 kW (sensibilmente superiore a quanto noto prima della distribuzione).

Di seguito potete leggere il vecchio articolo.

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PowerWalTeslal di Testa: siamo di fronte ad un vero fenomeno del marketing, ad un boom di pre ordini e a un hipe tipico dei più moderni smartphone, cosa che non accade praticamente mai nel settore edilizia e impianti. Ma perché?

Vediamone insieme i pregi:

1) Design e marchio. Eh sì, batterie così belle non si sono mai viste. Ma se poi lo metto in centrale termica o a fianco del quadro elettrico, che me ne importa? Ad ogni modo anche il mondo dell’architettura, che spesso si disinteressa alle questioni più tecniche tipo “meglio questa pompa di calore o quest’altra?” ora si sente chiamato in causa. Senza contare che Tesla (Motors) è un brand già conosciuto nel settore automotive da quando crea automobili elettriche di altissima gamma, e quindi raccoglie un bacino più ampio dei soli addetti ai lavori.

2) Prezzo. Rispetto alle batterie di accumulo al piombo presenti attualmente sul mercato il costo viene quasi dimezzato (anche se è meglio aspettare la conversione dollaro-euro) e si aggira sui 3000-3500 € a seconda del taglio. Quello che solitamente non viene detto è che serve della componentistica in grado di gestirle, un inverter più “intelligente” in pratica, con un sovrapprezzo di ulteriori 1500 € circa. Alla fine quindi dovremmo sborsare una cifra che si aggira attorno ai 5000 € contro gli 8000 € che avremmo speso con le soluzioni attuali, ovvero il prezzo di una piccola utilitaria!

3) Capacità. Il costo non è l’unica variabile, conta anche la quantità di energia che la batteria riesce ad immagazzinare: con la batteria di Tesla arriviamo a 7 o 10 kWh, secondo il taglio scelto, contro i 3-5 kWh dei prodotti attualmente destinati al settore residenziale. In maniera approssimata significa che può alimentare un phon con potenza di 1 kW per 7 o 10 ore. Non è male, ma dipende dalle aspettative.

4) Garanzia e ciclo di vita. Finalmente batterie con prestazioni garantite per dieci anni, cosa che ci permette di fare precise analisi di ritorno dell’investimento. Anche qui rimando a futuri articoli o alle vostre domande.

5) Modularità. È possibile accoppiare più batterie per aumentare la capacità di accumulo e anche la potenza erogabile.

Passiamo ora ai limiti di Tesla PowerWall:Tesla moduli

1) Potenza erogabile. Un singolo modulo può erogare fino ad un massimo di 2 kW, un po’ poco generalmente, decisamente poco considerando una casa dove anche il riscaldamento e il fornello funzionano a corrente elettrica.

2) Costo e ritorno dell’investimento. Nonostante il forte miglioramento, la convenienza rimane da analizzare caso per caso. Se prendiamo ad esempio una casa con un involucro progettato per consumare pochissimo, dove tutto funziona a corrente e per la quale si può godere (per ora) della tariffa agevolata D1, l’investimento può arrivare verosimilmente a pareggio a circa 3/4 della vita utile della batteria (ovvero 7-8 anni), non prima.

3) Data di lancio e condizioni. Ricordo che non è ancora arrivata la versione per il mercato europeo e italiano! Vedremo chi la distribuirà, a che reale prezzo e quando. Pare a cavallo tra 2015 e 2016, io credo in concomitanza con una fiera del settore tipo SolarExpo.

Concludendo, sicuramente Tesla mette a segno un punto importante: presto o tardi, con queste batterie il mio investimento si ripagherà e per un certo periodo di tempo mi permetterà di guadagnare. Non è poco, perché nessuna batteria fino ad ora c’era veramente riuscita. Manca ancora un po’ di strada al completo autoconsumo, ma siamo al giro di boa.

Vi aspetto di nuovo su questo forum per parlare, sulla scia di questa news, di autoconsumo, sistemi di accumulo, quota rinnovabile e distacco completo dalla rete (off-grid).

A presto!

Ricambio d’aria e passaggio di vapore: facciamo chiarezza

Sfatiamo un mito.
I muri devono respirare per non “fare la muffa” e compagnia cantante?
Risposta breve: NO.

Risposta lunga: non confondiamo la “respirazione”, intesa come ricambio di aria, con la traspirazione, intesa come passaggio di vapore.
ricambio
Per quanto riguarda il ricambio d’aria sanitario, questo dovrebbe avvenire in maniera controllata attraverso, per l’appunto, la ventilazione meccanica controllata abbinata ad un recupero del calore. A chi teme di dover vivere in reclusione ripeto sempre che niente ci impedisce di aprire le finestre quando vogliamo, specie nelle mezze stagioni, ma con la consapevolezza che se lo facciamo a gennaio oltre a gelarci il naso stiamo letteralmente buttando i soldi…dalla finestra!

Condensa interstiziale
Per quanto riguarda invece il passaggio di vapore, iniziamo con il dire che la traspirabilità è un po’ sopravvalutata. Solamente il 3-4% del vapore passa attraverso l’involucro, il resto evacua attraverso i ricambi d’aria (controllati o meno). Quello che conta è che la stratigrafia sia aperta alla diffusione verso l’esterno, come se fosse un’autostrada con una serie di caselli in successione (i passaggi tra un materiale e l’altro) ai quali le particelle di vapore sono costrette a rallentare: il secondo casello dovrà smaltire la coda più velocemente del primo e così via, non il contrario, altrimenti si creeranno pericolosi incolonnamenti (ovvero rischi di condense interstiziali). Se per ipotesi chiudessi subito la frontiera non avrei bisogno di caselli aperti in seguito, a meno che qualche particella non trovi comunque il modo di aggirare l’ostacolo e passare. Ecco perché la cosiddetta barriera al vapore posta internamente si usa solo in alcuni casi e quasi mai nelle nuove costruzioni, nelle quali si preferisce generalmente controllare la fuoriuscita del vapore senza impedirla.

muffa e ponte termico
Tornando alla domanda iniziale: cosa devo fare per non avere più problemi di muffe? Assicuriamoci PRIMA di eliminare i ponti termici costruttivi (con un buon cappotto senza interruzioni, ad esempio) e di garantire in questo modo alte temperature superficiali lungo i bordi delle stanze e dei serramenti. Fatto questo, POI viene l’arieggiamento dei locali. Famosi i casi in cui, in edifici datati, dopo aver sostituito i serramenti ricercando un miglioramento del comfort domestico cominciavamo a formarsi muffe negli angoli della stanza; paradossalmente l’unica cosa che salvava i proprietari dalla muffa era il ricambio d’aria garantito dalle infiltrazioni di aria dalle vecchie finestre!

Il comfort, come anche il risparmio energetico, è dato per tre quarti dall’involucro e solo per un quarto dagli impianti. Ricordiamocene quando l’idraulico ci suggerirà di cambiare la caldaia o installare dei costosissimi pannelli solari termici o fotovoltaici.

Daniele Pozzan

Eco-quartiere “Le Albere” by Renzo Piano: pro e meno pro

schizzomuse
Anziché una bella foto panoramica preferisco partire dallo schizzo di Renzo Piano. Un genio è sempre un genio, e può permettersi tutte le finte ingenuità che vuole nelle proprie creazioni (un po’ come “e non c’è niente CHE ho bisogno” di Jovanotti), è il successo dell’opera finale a decretarne la buona riuscita: ed è indubbio che il suo complesso “Le Albere” ce l’abbia fatta.
Costruito a Trento lungo il fiume Adige, nel luogo che un tempo ospitava l’area industriale Michelin, è una mini-città praticamente autonoma: residenze, uffici, negozi, attività ricreative, perfino un Museo della Scienza (MUSE) per un totale di 350 unità in un parco di 5 ettari (circa 5 campi da calcio). Si tratta di un bellissimo esempio di riqualificazione urbana, firmata da uno dei più grandi orgogli italiani; la sostenibilità del progetto secondo me è già garantita a priori dal fatto che non vengono utilizzate aree vergini.
Bellissimi gli edifici, tutti: ampie vetrate, grande uso del colore verde (per la verità non ne vado matto) e del legno per richiamare il nome del complesso, “Le Albere” appunto, che significa pioppi. Gli edifici sono costruiti in linea o a corte e, pur differenziandosi per lo stile moderno e le originali coperture, si amalgamano bene con quelli del vicino centro storico, mantenendo le stesse proporzioni e altezze. I lotti sono intervallati a viali alberati, parchetti, stagni, cespugli, e sullo sfondo le splendide montagne trentine per fare da cornice all’idillio dei fortunati residenti (in verità ancora pochissimi visti i prezzi stellari, mi dicono). sfondo le albere
In riferimento a questo articolo, però, vorrei fare anche alcune mie personalissime considerazioni. Si parla di eco-quartiere e edificio passivo. Il primo può essere vero, il secondo no. Scendiamo più nel dettaglio: leggo che la domotica ottimizzerà la gestione dei consumi delle unità e del quartiere, non si precisa il come ma presumo si tratti soprattutto di illuminazione automatica. Sarebbe bello anche l’azionamento automatizzato delle schermature solari in relazione all’irraggiamento rilevato per proteggere le vetrate durante i periodi caldi. C’è anche il recupero delle acque piovane, wow! Questo è molto buono! Poi ragazzi che impianti: ventilazione meccanica controllata, sonde geotermiche, pannelli fotovoltaici e centrale di trigenerazione (cioè si ricava energia meccanica, elettrica e termica allo stesso tempo) e chi più ne ha più ne metta.
Sono un po’ meno entusiasta della parte in cui si magnifica la sostenibilità ambientale dei materiali usati (senza però richiedere una certificazione come LEED o CasaClima Nature) e il comportamento energetico degli edifici, dotati niente-popò-di-meno-che di un cappotto esterno e di una certificazione CasaClima B. Per chi non ne fosse al corrente la classe B è ormai il minimo obbligatorio in tutto il Trentino Alto Adige. Intendiamoci, sono comunque 10 passi avanti al resto d’Italia, ma “Le Albere” non ha fatto altro che rispettare gli standard minimi del luogo (anche se a onor del vero quando hanno avviato l’iter di certificazione nel 2009 bastava la C). Per far capire che non bisogna abusare del termine “passivo” basta dare i numeri: 1, 3, 5: corrispondono circa ai litri di gasolio (o ai metri cubi di metano) per metro quadro all’anno necessari per riscaldare e raffrescare rispettivamente una CasaClima GOLD, una CasaClima A e una CasaClima B. Quindi c’è una differenza di 5 volte tra i consumi di questo complesso e quelli di un edificio passivo, non poco. Non conta poi tanto da cosa venga presa questa energia, è qui che voglio battere il chiodo: perché se l’involucro non è performante è comunque energia sprecata, perché potrebbe servire cinque abitazioni anziché una.

Daniele Pozzan